Su Identità Golose, il Congresso Internazionale di cucina tenutosi a Milano lo scorso febbraio, credo sia stato detto tutto, quindi non è mia intenzione ripetermi, ma non vorrei nemmeno lasciar andare i concetti che sono stati espressi in quei giorni e tutto “il nuovo ed il vecchio” di cui si è parlato.
In tutti gli interventi a cui ho assistito, ciò che è venuto fuori è stato, prima di tutto, il rispetto verso gli alimenti e quindi verso noi stessi.
“Una golosa intelligenza” era il tema principale di questo congresso: pensateci, chiunque stia ai fornelli deve essere accorto in ciò che cucina per gli altri. Ottenere un piatto buono è essenziale, ma è ancora più importante che questo piatto sia bilanciato e soprattutto sano.
È un concetto che sostengo anche io già da parecchio tempo e con questo non voglio dire che bisogna rinunciare a mangiare, quanto piuttosto non abusare indiscriminatamente di carne o altre proteine animali…tutti gli eccessi non portano a niente di buono, in fondo. È in un certo senso lo stesso principio della dieta mediterranea.
Dice Paolo Marchi «In cucina serve una nuova intelligenza, serve la capacità di salvaguardare memorie e sapori, la capacità di innovare intuendo nuove combinazioni, la capacità di alleggerire grassi e presenze inutili per esaltare sempre di più materie prime, profumi, forme, genio costruttivo, sicurezza delle proprie azioni». Ed infatti, è un sottile fil rouge quello che lega tutti gli interventi ed i piatti presentati con gusto e leggerezza, coniugando cucina tradizionale e prodotti del territorio con la cucina vegetariana e vegana.
Incontri
Il mio primo incontro è stato con Morandin (Molino Quaglia) e con i meravigliosi lievitati adatti alla colazione: una brioche morbidissima senza lattosio, ottenuta con burro di cacao ed olio di noci con all’interno delle mele caramellate, deliziosa.
Renato Bosco invece ha parlato de “L’acqua come primo ingrediente”. In pratica la semplicità in cucina è essenziale e l’acqua può donare a pizza e lievitati, gusti particolari senza andare alla ricerca di ingredienti alternativi.
Renato Bosco parla infatti dell’utilizzo soprattutto delle acque aromatizzate ed io mi son ritrovata molto in questo discorso, infatti uno dei lievitati che mi è piaciuto di più ultimamente è stato proprio il pan de muerto, ottenuto con un’acqua di infusione all’arancia.
Semplicità in cucina è la parola chiave in pratica e molto interessante è stato anche ciò che ha preparato: un buonissimo kebab vegano fatto con lievito madre e ripieno di crema di zucca, funghi e seitan. È stata un’assoluta scoperta: un piatto da ripetere anche da chi vegano non è (secondo me, il seitan si potrebbe anche omettere, ma ve ne parlerò meglio nei prossimi esperimenti ^_^), delizioso come accostamento di sapori e consistenze.
Un altro intervento, forse quello che più mi ha colpito, è stato quello di Alessandro Negrini e Fabio Pisani de Il luogo di Aimo e Nadia i quali hanno parlato di complicità. La complicità tra l’intelligenza della mente e quella della mano.
Due chef giovani, complici e sicuramente molto divertenti nel loro modo di comunicare!
Come vi dicevo, mi hanno letteralmente affascinato, ma così tanto che avrei potuto tranquillamente passare l’intera settimana ad ascoltarli ^_^
Iniziano subito con il mostrare i loro attrezzi di lavoro: utensili antichi, originali, prodotti da artigiani in Valtellina. Mentre loro raccontano, viene trasmesso in contemporanea un video in bianco e nero, muto, che mostra come i suddetti attrezzi siano stati prodotti.
Il loro messaggio è quello di una cucina moderna e innovativa, che passa anche attraverso la consapevolezza del gesto antico e sapiente dell’artigiano.
Tutti i loro piatti sono preparati utilizzando un metodo e un utensile antico, ormai dimenticato: il laveggio. Grazie all’inserimento di una lastra di metallo applicata sotto la pentola in pietra, il laveggio può essere oggi utilizzato anche su una piastra a induzione, ottenendo una cottura che rispetta le materie prime e i sapori originari, esaltandoli. Una tecnica che riunisce in sé il meglio di tutte le altre cotture: a vapore, al forno, alla fiamma. Un esempio di come la tecnologia non cancella il passato, ma addirittura esalta il gesto antico.
Il laveggio è una pentola cavata e tornita dal serpentino, pietra delle Alpi Lombarde, in uso fino a dopo la seconda guerra mondiale. Un utensile pregiato per le proprietà termiche proprie della pietra: al calore si riscalda lentamente, evitando che i cibi si attacchino o brucino sul fondo e mantiene inalterate le qualità organolettiche delle pietanze; tolto dal fuoco, si raffredda lentamente, mantenendo il cibo caldo per lungo tempo e senza che si alteri, esaltandone il gusto.
Sorprende la loro filosofia, ma sorprende ancora di più la farina di ceci tostata che tocca i sensi, oppure un intenso aceto di lamponi che serve a sfumare una deliziosa carota caramellata (se vi state chiedendo se l’ho assaggiata, vi rispondo di sì… ^_^).
Altro gustoso assaggio è stato quello del burger vegetale, preparato dallo chef Lello Ravagnan, costituito da: pane di lievito madre, polpetta di ceci e lenticchie, mandorle, salsa vegetale, melanzane e peperoni essiccati.
Ed infine… Scabin! Gli assaggi al Bistrot Felicetti, preparati da Davide Scabin, hanno rispecchiato perfettamente il filo conduttore del Congresso: semplicità unita ad innovazione. E proprio così sono stati i suoi piatti, molto innovativi, visto che la pasta veniva servita sovrapposta o affiancata al condimento, in modo da essere assaggiata anche in purezza ed apprezzata nella sua semplicità.
Il Km 0 è l’Italia
C’è un concetto che è stato preso in considerazione da diversi cuochi, quello del Km 0.
Oggi è forse il termine di cui si fa più uso/abuso nel campo del food, ma, pensiamoci, il km 0 esiste veramente così com’è inteso?
In un’intervista ad Identità Golose, Alessandro Negrini e Fabio Pisani, gli chef di cui vi ho parlato più sù, dicono:««In Italia, è riduttivo: personalmente lo sconsiglio. A Milano, per esempio, ci mancherebbero moltissime materie prime, che invece riceviamo freschissime direttamente dal luogo di produzione».
Ed ancora «Il Km 0 è una trovata mediatica. Detto questo, suggerisco di privilegiare i prodotti italiani: nel nostro Paese vantiamo svariati ingredienti, è assurdo comprare dall’estero. E lo è soprattutto in un momento come quello attuale di profonda crisi: acquistare le nostre materie prime significa salvaguardare le aziende italiane».
Il concetto che è venuto fuori in questi giorni, è proprio questo in sostanza. Oggi tutti parlano di km 0, è un concetto che serve a fare marketing, utilizzato anche per attirare turisti in un luogo piuttosto che nell’altro, ma credo ci voglia anche molta consapevolezza ed intelligenza per poter discernere e capire quanto ciò di cui ci nutriamo fa parte realmente del territorio in cui viviamo.
Anche Franco Pepe parla di questo, portando direttamente dal suo territorio i prodotti dell’Alto Casertano, per poter ottenere una pizza veramente a km 0 o anche Gian Pietro Damini, che parla di territorio, ma anche della necessità di cercare la vera qualità, cosa che si può trovare con la ricerca sì, ma su tutto il territorio italiano, ricco di materie prime eccellenti, quindi il km 0 è tutta l’Italia vista nella sua interezza.
Per quanto mi riguarda, devo dire che sono d’accordo con questo concetto: il km 0 è da ricercare sull’intero territorio nazionale.
Bisogna essere consumatori intelligenti e non andare dietro le mode, che oggi ci sono e domani cambiano, ma sviluppare una vera e propria cultura alimentare.
Il concetto “km 0” è troppo vasto per essere trattato in poche parole e si rischia anche di creare confusione se non vengono utilizzate quelle giuste, ma il motivo per cui sono d’accordo con ciò che è stato detto in quest’occasione è semplice: oggi il cemento sta occupando gran parte dei terreni coltivabili ed i produttori locali difficilmente potrebbero coprire tutto il fabbisogno del territorio. Infine c’è da considerare il fatto che ogni zona ha le sue caratteristiche geologiche, i suoi prodotti. È per questo motivo che il km 0 è un concetto italiano.